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  • Immagine del redattoreMangrovie Spazio Clinico

SOS Covid 19: istituzioni come contenitori

Le istituzioni contenitori aperti e chiusi, rigidi e flessibili, in ascolto e ciechi.

Quanto segue rappresenta una riflessione di gruppo su quanto emerso dalla serata di intervisione del 15/05/2020


Moderatori: Fabrizio Fino, Gaia Gragnano, Marta Grossi

Partecipanti: Marta Bottini, Valentina Cavandoli, Greta Cazzaniga, Michela Launi, Silvia Martinelli, Martina Mazzetti, Anna Pozzoli, Giuditta Seassaro, Sara Sofisti.



Ospedali, centri diurni, centri psicosociali, consultori, studi. Cosa accade quando la struttura chiude? Il clinico prima di andare via apre la sua valigia e ci mette dentro le mura, la sala d’attesa, la scrivania, i quadri. Gli serviranno per tornare ad accogliere i suoi pazienti da lontano, gli servirà avere almeno un po’ di quell’arredamento interno che ha abbandonato.

Talvolta però non è semplice ricostruire lo stesso setting. Il gruppo riflette su questa fatica.



Istituzioni e tirocini di specializzazione: una doppia interruzione

Durante l’emergenza sanitaria i Centri Psicosociali hanno ridotto l’attività a quella essenziale, spesso interrompendo i colloqui di psicoterapia vis a vis condotti dai tirocinanti. Questi ultimi hanno traslato i percorsi ad un setting virtuale, al fine di mantenere la continuità della presa in carico.

Il gruppo riflette su come le diverse istituzioni si siano mosse in maniera differente: c’è chi ha proseguito fino all’ultimo momento possibile (“negando”, forse, il problema?) e chi invece sin da subito ha interrotto i lavori.

Questi movimenti hanno avuto un impatto sulle singole psicoterapie: a questo va aggiunta una variabile importante, quella della fine del tirocinio stesso. La fine di un percorso merita uno spazio ed una dignità, pertanto il lavoro del clinico - tirocinante diventa doppio: costruire un buon passaggio al virtuale e preparare il terreno per una buona comunicazione rispetto al termine della terapia (laddove prevista).

Come muoversi, dunque? Non c’è una risposta certa: il gruppo di discussione sembra orientato verso un rimando della questione a quando si tornerà negli studi, nei luoghi fisici della cura (a luglio? a settembre? e dobbiamo anche fare i conti con la pausa estiva!), quasi a richiamare un contenitore più solido -quello fisico- che possa accogliere un passaggio così delicato.

La “fine” è quindi rimandata… ma forse traspare durante i colloqui, nei discorsi affrontati che talvolta parlano già di una fine.

Istituzioni e transfert

Non dobbiamo pensare che un passaggio al virtuale sia qualcosa di automatico, nonostante la sua “utilità” sia supportata da prove evidenti (le leggi che promuovono smartworking, le raccomandazioni dell’Ordine, ecc.). Così come il passaggio di una psicoterapia dal pubblico al privato, o ad un altro collega, questo innesca dinamiche delicate da tenere in considerazione.


Il gruppo riflette quindi sul transfert: il paziente traspone alcuni sentimenti e vissuti sul terapeuta, ma lo fa anche coi luoghi della cura! Che dire dell’importanza della passeggiata verso lo studio / l’Ospedale, di quella libreria dietro al lettino, di quel profumo o dell’infermiere che ti incrocia in corridoio?

Istituzioni interne : flessibilità e rigidità

“mi viene da pensare… forse quando tornerò in studio ritarderò la mia pausa estiva, in modo da vedere i pazienti anche a luglio”.

Cosa ci porta a fare questo pensiero?

Sembra che il lockdown e la conseguente modifica del setting ci ponga in una condizione di “debito”, come se durante l’emergenza cambiasse anche la qualità del servizio offerto: un lavoro sull’urgenza, più precario (più superficiale?). È difficile abituarsi, immaginiamo di dover recuperare questo tempo “perso”.

Nel frattempo diventiamo più flessibili: gli orari a volte “saltano” e si modificano, riceviamo più messaggi tra una seduta e l’altra, forse siamo anche più propensi a rispondere.

Diventa ancora più importante essere “regolati”, al nostro interno, scegliendo una posizione più o meno flessibile ma che ci faccia sentire sufficientemente comodi nel rapporto col paziente: flessibile ma non precaria.

Insomma, ancora una volta non esiste soluzione o risposta alla domanda : “cosa fare quando…?” La risposta si costruisce con la propria analisi, la supervisione, i gruppi di confronto e col proprio paziente: anche noi abbiamo bisogno dei nostri contenitori… perdonandoci qualche errore.

Per approfondire:

Bion, W. (1970) Attenzione e interpretazione. Armando Editore

- Cap. 7 “Contenitore e contenuto”

- Cap. 12 “Trasformazioni della configurazione contenitore contenuto”


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