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  • Immagine del redattoreMangrovie Spazio Clinico

Omaggio alla lentezza: tra Luis Sepúlveda e Sigmund Freud

In un periodo connotato dalla paura, dalla perdita, dal vuoto, il tentativo dell’uomo è quello di costruirsi delle isole di spensieratezza. Lo fa cucinando, con gli aperitivi su skype; sistema quel mobile che era lì da un po’, si iscrive ad un webinar. Riscopre il piacere di leggere.

E allora eccolo lì, sistemato accanto ad altri pilastri della nostra infanzia: Luis Sepúlveda spicca il volo con la sua Gabbianella nel 1998 ed entra di diritto nel bagaglio degli odierni trentenni.

“[...] poiché le parole sono come il vino: hanno bisogno di respiro e di tempo perché il velluto della voce riveli il loro sapore definitivo.”




Sepúlveda ce lo dice chiaro e tondo: le parole per sedimentare hanno bisogno di tempo.

Chi affronta un percorso di psicoterapia si scontra con la dimensione del tempo: “dottore, per quanto tempo dovremo lavorare? Secondo lei quando smetterò di stare così? Oggi non so proprio cosa dirle, sono agitato”.

Forse Sepúlveda con le sue immagini semplici ed immediate ha provato a spiegarci qualcosa di estremamente raffinato: le parole sono come il vino, non sono come una spremuta fresca pronta ad essere consumata. Il vino va lasciato in cantina, sottoterra, nascosto, ha bisogno di tempo per potersi dire “pronto”.

E ancora, lo scrittore cileno ci racconta la Storia di una lumaca che scoprì l'importanza della lentezza. Il nostro dolore, il nostro sintomo è un bagaglio con cui lentamente viaggiamo, pian piano possiamo lasciare per strada un pezzettino di questo peso, attraverso la cura psicologica.

Questo non significa che sia impossibile fruire dei benefici di un percorso prima che questo finisca: la parola non è esito, bensì crescita.

Come spesso accade ricordando i Grandi Autori, anche oggi scopriamo quanto la letteratura sia intrecciata con la psicoanalisi:

“Nessun mortale sa mantenere un segreto: se le sue labbra sono serrate parlerà con la punta delle dita, il suo tradirsi trasuderà da ogni poro”.

Chi ci parla è Freud, nel 1901, nel tentativo di descrivere i sintomi della sua paziente Dora. Una risposta arriva da Sepúlveda più di cento anni dopo:


“Le mani sono l'unica parte del corpo che non mente.

Calore, sudore, tremito e forza. È quello il linguaggio delle mani.”



Riferimenti:

• Sigmund Freud, Frammento di un’analisi di isteria (caso clinico di Dora), Opera IV, Bollati Boringhieri,1901

• Luis Sepúlveda, La lampada di Aladino e altri racconti per vincere l'oblio, traduzione di Ilide Carmignani, Edizioni Guanda, 2008.

Luis Sepúlveda,Storia di una lumaca che scoprì l'importanza della lentezza, traduzione di Ilide Carmignani, Edizioni Guanda, 2013

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